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Attribuzione delle emozioni: analisi preliminare sulla validità e l’affidabilità per l’età adolescenziale del test di attribuzione delle emozioni
M. Gatta, A. Spoto, G. Trevisan, S. Benanti, P.A. Battistella
La ricerca si propone di fornire un contributo alla validazione del test di attribuzione delle emozioni 1 per l’età adolescenziale. Si prenderanno dapprima in considerazione i modelli teorici e gli studi scientifici, che supportano il progetto di ricerca stesso e si identificano come chiave di comprensione del tema trattato. Alcuni di questi, tra i più noti il modello quadrifattoriale di Blair e Cipollotti (2000) , prende in considerazione le diverse componenti della cognizione sociale in rapporto con l’abi- lità dell’attribuzione-comprensione delle emozioni. Si approfondirà, inoltre, il tema dell’alessitimia, disturbo psico-emotivo presente nella popolazione sia adolescenziale che adulta. Il test oggetto di validazione è considerabile come uno degli strumenti di valutazione più adatti per la cognizione emotiva ed è già stato precedentemente validato per l’età adulta 3 . Tale test è ritenuto, secondo i dati scientifici raccolti dagli autori, lo strumento più sensibile all’influenza fattoriale, come sesso, età e scolarità.
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ADHD modalità e difficoltà diagnostiche: Un’indagine nella provincia di Novara
F. Guccione, A. Antonini, M. Vallana
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PREFAZIONE
Developmental Coordination Disorder (DCD) e sonno: studio polisonnografico
M. Esposito, A. Pascotto, M. Carotenuto
Effetto delle crisi precoci sulla connettività cerebrale in bambini con sclerosi tuberosa: uno studio con tensore di diffusione
R. Moavero, A. Napolitano, R. Cusmai, F. Vigevano, L. Figà-Talamanca, G. Calbi, P. Curatolo, B. Bernardi
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Caratteristiche di personalità nell’emicrania in età evolutiva: studio di un campione di adolescenti emicranici mediante uso del test di Rorschach secondo il sistema comprensivo di Exner (CS)
D. Candeloro, M.A. Chiappedi, A. Di Genni, P.A. Veggiotti, S. Cristofanelli, A. Zennaro, U. Balottin
Effetti sulla crescita della terapia a lungo termine con metilfenidato in bambini e adolescenti con Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD)
S. Carucci, A. Carta, R. Romaniello, A. Zuddas
Valutazione degli effetti cardiovascolari acuti del metilfenidato a rilascio immediato in bambini e adolescenti con disturbo da deficit di attenzione e iperattività
M. Lamberti, E. Germanò, D. Italiano, R. Siracusano, L. Guerriero, G. D’Amico, M. Ingrassia, A. Alquino, M.P. Calabrò, E. Spina, A. Gagliano
Introduzione. Il metilfenidato (MPH) costituisce il gold standard per il trattamen- to del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Scopo della nostra ricerca è stato quello di studiare il rischio cardio-tossico del MPH, durante il picco plasmatico del MPH a immediato rilascio (MPH-IR). Metodi. Sono stati arruolati 60 pazienti drug-naive con diagnosi di ADHD. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad esame ECG, in basale (T0) e a distanza di 2 ore dall’assunzione del farmaco(T1), dopo che per essi era stata stabilita la dose terapeutica di MPH. Sono stati quindi valutati e confrontati la media corretta del QT (QTc), il tempo di dispersione del QT (QTd) e l’intervallo dell’onda T (TpTe). Risultati. Non si sono evidenziate modifiche clinicamente significative di nessuno dei parametri analizzati dopo l’assunzione della dose di metilfenidato. La FC ed i valori del TpTe sono variati in modo statisticamente significativo da T0 a T1, ma entrambi i valori si sono sempre mantenuti all’interno dell’intervallo di normalità e non sono variati in modo clinicamente significativo. Conclusioni. I risultati della nostra ricerca mostrano che durante le prime ore dall’assunzione del MPH non si rilevano modifiche elettrocardiografiche che con- figurano un rischio clinico. I nostri dati confermano, con dati obiettivi, la relativa sicurezza cardiovascolare del MHP. L’uso dei valori del TpTe potrebbe rivelarsi un utile marker aggiuntivo per identificare le situazioni a rischio.
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Adolescenti e self-cutters: analisi di una popolazione
A. Traverso, S. Zanato, B. Bolzonella, D. De Carlo, A. Rampazzo, M. Gatta, C. Cattelan
Introduzione. I comportamenti autolesivi riguardano fino al 45% degli adole- scenti, rappresentando una priorità di salute generale. Tra i più comuni si ricorda il self-cutting, comportamento ad alto rischio di ripetizione e fattore predittivo indipendente di suicidio. L’obiettivo dello studio è l’analisi delle caratteristiche sociali e psicopatologiche di un gruppo di soggetti con self-cutting, al fine di migliorare la cura e la prevenzione delle ricadute autolesive. Metodi. È stata condotta una revisione dei casi (23 pazienti) giunti con self- cutting presso il Pronto Soccorso negli ultimi 5 anni e seguiti presso il Servizio di Psichiatria Infantile e Psicologia Clinica dell’Ospedale di Padova. Ogni soggetto è stato sottoposto ad una valutazione psicodiagnostica completa (colloqui liberi e somministrazione di interviste e questionari). Il self-cutting è stato classificato in occasionale e ripetuto (= 5/anno). La presenza di differenti sedi anatomiche coinvolte nel self-cutting è stata considerata indice di maggiore gravità dell’autolesionismo. Risultati. In età pediatrica, i soggetti che accedono ai Servizi per self-cutting sono prevalentemente femmine, con età media di 14,5 anni. Nel campione non sembrano esserci differenze significative in termini di caratteristiche sociali e psicopatologiche tra chi si taglia in multiple sedi e chi si taglia in una sede sola o tra chi compie il gesto con frequenza occasionale rispetto a chi lo agisce abitudinariamente. La presenza di tentativi di suicidio e la gravità del self cutting correlano con un utilizzo assiduo di social network. Discussione. Nonostante la diffusione del fenomeno porti ad una normalizzazione dello stesso, è compito del clinico non trascurare neppure un episodio isolato di autolesionismo, non essendo possibile legare la frequenza degli agiti ad un rischio differente o ad un profilo psicopatologico specifico. Sarà da approfondire il ruolo dell’utilizzo dei social network quali possibili strumenti di “contagio sociale” in popolazioni a rischio.
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Studio della connettività EEG dei fusi del sonno in alcuni soggetti con Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD)
C. Zanus, P. D’Antrassi, R. Giorgini, G. Spada, A. Accardo, A. Skabar, M. Carrozzi
Introduzione. Il sonno è considerato un utile ambito di studio rispetto alla correlazione tra funzioni cognitive e organizzazione della rete neuronale. L’attività dei fusi viene correlata ad alcune funzioni cognitive e recentemente anche allo sviluppo emotivo. Obiettivo. Individuare possibili patterns di connettività EEG nel sonno di soggetti con ADHD. Metodi. Quattro soggetti con ADHD e 8 soggetti di controllo; fascia di età 7-11 anni. EEG con 21 elettrodi, riferimento biauricolare, frequenza di campionamento 512 Hz. Cinque epoche di un secondo, per ciascun soggetto, contenenti il fuso. Per estrarre le informazioni di connettività direzionale tra ogni coppia di canale è stato utilizzato il metodo spettrale multivariato della Directed Transfer Function (DTF). Per la misurazione della similitudine tra le matrici DTF è stata valutata la Cosine Similarity. Risultati. In entrambi i gruppi di soggetti è presente una buona similarità intraindividuale tra le matrici di connettività, soprattutto nelle bande di frequenza theta e beta. Nel gruppo ADHD non sembrano riconoscibili patterns di connettività generalizzabili in tutte le bande considerate, e la costanza intraindividuale sembra meno definita rispetto ai controlli. Conclusioni. I dati preliminari dello studio suggeriscono la possibile presenza di patterns di connettività del sonno riproducibili all’interno dello stesso soggetto.