– Il documento di studio e di proposta
L’Autorità garante ha deciso di realizzare uno studio sul diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità con l’obiettivo di accendere i riflettori sul tema della disabilità dei bambini – e in particolare sul loro diritto al gioco e allo sport – in una logica di inclusione, di uguaglianza e di pari opportunità, in osservanza degli articoli 2, 23 e 31 della Convenzione di New York.
Il gruppo di lavoro, istituito nell’ambito della Consulta delle associazioni e delle organizzazioni, ha realizzato una ricerca qualitativa nei territori in modo che fossero rappresentate le diverse realtà italiane, anche attraverso la partecipazione diretta dei bambini e dei ragazzi con disabilità e delle loro famiglie, dei coetanei e degli operatori del settore.
Dall’indagine è emersa la necessità di dare una pronta risposta al diritto al gioco e allo sport per i bambini e i ragazzi con disabilità.
Tutti gli attori coinvolti hanno sostenuto l’importanza del gioco e dello sport nella vita dei bambini e dei ragazzi con disabilità e sottolineato la carenza di normative di riferimento e di progettazioni politiche e sociali dedicate, la necessità di aprire spazi adeguati all’inclusione, la priorità di formazioni specifiche sul tema.
Si è evidenziata anche una differenza tra accesso al gioco e accesso allo sport, e tra disabilità motoria e altre tipologie di disabilità. L’accesso allo sport, pur insufficiente, è comunque maggiormente garantito dell’accesso al gioco, e l’accesso ad entrambi è nettamente maggiore per le disabilità motorie rispetto alle disabilità intellettive, comunicative e ai disturbi dello spettro autistico. Manca, inoltre, una mappatura e una messa in rete di spazi, esperienze, attività di gioco e sport dedicati alla disabilità e una corretta e capillare informazione sulle risorse accessibili e sulle opportunità fruibili.
In particolare è emerso quanto segue, in relazione agli specifici gruppi intervistati.
Per quanto riguarda i ragazzi, ciò che emerge in generale è una difficoltà a entrare in relazione con i coetanei con disabilità in contesti di gioco o sportivi. Le ragioni sono personali – “non sai bene come comportarti” – e anche legate al contesto: “ci vuole sempre un adulto che sovraintenda adattando le caratteristiche della disabilità e le attività del gruppo a quelle del ragazzo con disabilità”. I luoghi dove i ragazzi dicono di aver giocato e praticato attività sportiva differiscono da città a città: la scuola a Milano, anche il parco a Roma, ma sono sempre contrassegnate da discontinuità (o meglio occasionalità). I ragazzi di Alatri che quelli di Palermo hanno espresso la difficoltà a entrare in relazione con le persone con disabilità, mentre quelli di Palermo hanno rilevato la paura di sbagliare, di non saper mettere in atto un comportamento adeguato o di suscitare rabbia per un comportamento vissuto come eccessivamente protettivo.
Per quanto riguarda le famiglie, in termini generali gioco e sport sono visti come attività nelle quali è centrale la prestazione e che devono condurre a obiettivi riabilitativi. Viene tralasciata, invece, la finalità di piacere e divertimento. A Milano confermano che il gioco è sempre vissuto a casa o nel contesto mediato della scuola ed esprimono il timore che possa essere fonte di frustrazione e ulteriore indice di esclusione dal gruppo dei pari. Interessante sottolineare che tutti i genitori hanno incluso tra le attività di gioco la lettura di libri illustrati. Lo sport risulta utile ai fini della socializzazione e dell’educazione, ma si lamenta la mancanza di attività sportive specifiche per bambini autistici. A Palermo il gioco è messo in relazione con il contesto: nella psicomotricità è terapeutico, a scuola è didattico e in ludoteca serve per socializzare. Quasi inconcepibile per le famiglie palermitane immaginare il bambino in un gioco inclusivo con i pari, salvo che il gioco non venga svolto in un ambiente protetto e con la mediazione di un adulto, come l’insegnante di sostegno. Nello sport assume peso la presenza di doti e talento in vista di un’attività agonistica di tipo paralimpico.
Le interviste ai ragazzi con disabilità. In generale, a differenza degli adulti, i ragazzi caratterizzano il gioco e lo sport come attività divertente e piacevole. Inoltre, come i loro genitori, lamentano la mancanza di nuove esperienze di giochi ed esprimono il desiderio di giocare con i pari. A Milano, dove sono stati ascoltati solo ragazzi con disabilità intellettiva, emerge un vissuto di solitudine sperimentato sin da piccoli nel giocare da soli e, quindi, il desiderio di stare insieme ad altri sia quando si gioca, sia quando si fa un’attività sportiva. I ragazzi di Palermo ricordano il gioco da bambini e il desiderio di volerlo continuare soprattutto in gruppo perché più divertente. Il gioco con gli altri è comunque limitato ai vicini di casa, ai fratelli o ai compagni di scuola.
Audizioni. Sono state realizzate audizioni con Ministero dell’istruzione, università e ricerca (MIUR), Società italiana di pediatria (SIP), Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia (SINPIA) e dell’adolescenza e Unione italiana lotta alla distrofia muscolare (UILDM). Tra le altre cose, è emersa l’introduzione da parte del Miur di nuove discipline a scuola come l’orienteering o la presenza di una Federazione di istituti scolastici per lo sport che include (FISCHIO). Grazie al progetto “Giocando si impara” la UILDM ha collaborato per l’istallazione di giochi inclusivi nei parchi a Milano e ad Arezzo e per interventi dello stesso tipo in spazi di altre dieci città italiane. Sul versante sportivo l’associazione è impegnata a promuovere l’hockey in carrozzina e la boccia paralimpica. La SINPIA auspica maggiori stanziamenti pubblici – in considerazione del fatto che la gestione dei parchi inclusivi è comunque demandata ad associazioni di famiglia, o addirittura a famiglie singole – e la creazione di una APP, sul modello australiano, capace di mettere in contatto le famiglie di soggetti con disabilità con tutti i servizi presenti sul territorio. Per la SIP, infine, è importante arricchire il bagaglio culturale dei pediatri con una formazione più puntuale sulla disabilità, anche in relazione all’importanza dello sport.
Trattare di diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità significa porre in rilievo che il gioco e lo sport sono diritti di tutti i bambini e che per tutti quindi occorre garantire pari opportunità di fruizione e di accesso, attraverso interventi normativi e operativi capaci di bilanciare principi generali con principi di specificità e personalizzazione. Per fare questo, è necessario un investimento culturale che tenda ad unire piuttosto che a rimarcare le differenze e le diversità, che conduca le famiglie dei bambini e dei ragazzi con disabilità a parlare della condizione dei loro figli senza vergogna o paura e che, contemporaneamente, induca tutti a considerare la disabilità come una condizione con la quale si può convivere e con la quale si può condividere la quotidianità, le attività sportive, il gioco. Sicuramente con degli accorgimenti e con un’attenzione speciale, ma certamente con fiducia e con la voglia di “mettersi in gioco”.